Intervista a Ludovica Butti

a cura di Cécile Prakken

CP: Sei cresciuta in una famiglia di musicisti?

LB: I miei genitori non sono musicisti ma sono stata immersa nella musica già dall’infanzia. Mia madre ha sempre spronato noi quattro figli a studiare musica. Così a sette anni insieme a mia sorella, iniziai con il sassofono soprano, ma più tardi il sassofono verrà sostituito dalla tromba. A sedici anni decisi di studiare il corno francese, insomma sempre uno strumento a fiato.

La musica, e soprattutto quella classica, mi ha rapito fin dall’inizio.

CP: Il quintetto Briar Rose è un quintetto di color rosa, al femminile.

C’è una differenza tra un suono maschile e femminile, un modo di suonare e fare musica femminile o maschile?

LB: Ad occhi chiusi non si riconosce un suono maschile da un suono femminile.

Magari veder suonare una donna mette in un’ottica diversa. Però, secondo me, non si può dire ad occhi chiusi se suona un uomo o suona una donna. Ci sono delle donne che hanno un suono potente oltre che meraviglioso. Invece l’obiettivo del quintetto femminile non è suonare o cercare di suonare in una maniera femminile, piuttosto far vedere che anche le donne suonano e sono delle brave musiciste. Non dimentichiamoci che pochi anni fa erano per la maggior parte uomini a suonare nelle orchestre. Circa 20 anni fa andai a Vienna a sentire dei concerti e trovai solo uomini in orchestra.

CP: Come scegli il repertorio di studio?

LB: Nello studio quotidiano scelgo dei brani che mi permettano di studiare quella tecnica adatta al tipo di concerto. Per esempio nella musica orchestrale di Richard Wagner il corno ha una parte importante e deve suonare praticamente sempre. Quindi è richiesta una grande resistenza di fiato e di <stamina>, cioè la resistenza della muscolatura delle labbra. Scelgo i brani dove esercito proprio quello. Invece con la musica da camera, nel quintetto Briar Rose, studio più la qualità del suono, il cantabile del suono, per integrare il suono del corno con i timbri degli altri strumenti a fiato. La ricerca del suono ampio ma leggero allo stesso tempo. I 4 concerti di Mozart sono ideali per studiare. Quindi la scelta del brano di studio è in funzione del concerto e del repertorio che verrà eseguito.

Il suono del corno deve legare gli archi e i fiati in orchestra, sia i legni sia gli ottoni. Il suono del corno è come un collante tra i vari gruppi. E’ uno strumento delicato e ci vuole una preparazione mentale. Cioè un lavoro di testa, un’immaginazione, che anticipa ogni suono, ogni attacco. I cornisti bravi sono proiettati in cosa si desidera fare sentire e come si possa realizzarlo. Non è solo una questione di suono, della nota giusta, ma è molto di più.

Fare musica è molto complesso e richiede tanta pazienza, tanta disciplina, l’attesa, la lentezza, progettare e maturare. Ma comprende anche la storia, la storia sociale dell’epoca, in che contesto è avvenuta la composizione, dove è stato scritta.

Avverto che i giovani fanno fatica, con i cellulari siamo sempre in modalità <on>. Leggere un libro è diventato più difficile, la lunga concentrazione viene a mancare.

Una delle mie grande battaglie, per la quale io lavoro con i bambini, è valorizzare l’ascolto.

Come disse Claudio Abbado: “Non bisogna insegnare la musica ai bambini per farli diventare grandi musicisti ma perché imparino ad ascoltare e, di conseguenza, ad essere ascoltati”.

La formazione musicale è fondamentale per crescere meglio.

Se i miei figli volessero fare i musicisti? Si, sarei contenta se loro potessero diffondere la cultura.

CP: Consiglieresti un’esperienza all’estero?

LB: Si, sempre. E’ stato per me un periodo meraviglioso; intorno ai 20 anni hai la spensieratezza. Un periodo di tanto, tanto studio ma anche tanto piacere, con un calendario pieno di concerti: è stata una grande palestra. Conosci molti amici e intrattieni contatti con musicisti internazionali che la musica magicamente unisce.

CP: Com’è il tuo rapporto con i social media?

LB: Uso Facebook e Instagram.

I social media sono un po’ avvilenti. Il mondo virtuale è un mondo a sé.

Per seguirlo e postare regolarmente dei messaggi è richiesto tanto tempo.

Con Instagram mi trovo meglio perché si lavora con gli hashtag. Quindi chi ha un interesse in un determinato argomento con quell’hashtag ti vede e può approfondire.

Certamente i social sono molto importanti e un potente mezzo di comunicazione e diffusione rapida.

CP: Da dove arriva la missione e la passione dell’insegnamento?

LB: Dal lockdown nel periodo della pandemia. Avevo due figli piccoli a casa e come potevo intrattenerli tutti i giorni in casa? Per me era scontato intrattenerli con la musica e facendo qualche ricerca sulle varie metodologie mi sono imbattuta nel Progetto Gordon e della Music Learning Theory. Una teoria che parte dall’ascolto di canti in diversi  modi e metri musicali e che insegna al bambino le basi della musica attraverso il gioco e l’apprendimento tra pari, ognuno secondo i propri tempi. Una teoria affascinante con il quale riscuoto molto entusiasmo e successo.

CP: Hai un sogno nel cassetto?

LB: Vedere più orchestre e vedere più bambini e giovani che si dedicano alla musica. Vederli molto meno in balìa di questi telefoni.

Con ringraziamento a Ludovica Butti.

13 marzo 2023

©Cécile Prakken