Intervista a Isabel Longato


a cura di Cècile Prakken

CP: perché hai scelto il flauto traverso?
IL: Ho scelto il flauto per esclusione.
Provengo da una famiglia di musicisti, ho scelto uno strumento a fiato a differenza dei miei fratelli che studiavano uno pianoforte e l’altro violino; ad un concerto ho ascoltato la Suite dell’Arlesienne di Bizet e mi sono innamorata del flauto.

CP: rifaresti la scelta di diventare musicista?
IL: Credo di sì. E’ un lavoro che mi piace che tiene sempre in movimento intellettualmente. Suono in orchestra, in ensemble da camera e insegno. Cerco di capire cosa desiderava esprimere il compositore cercando di rispettarne il più possibile lo stile. Attraverso la musica e suonando uno strumento si impara a conoscere se stessi; è come mettersi ogni giorno davanti allo specchio.
Provo a fare passare questo messaggio anche ai miei tanti alunni. Ho sempre amato insegnare e con il Metodo Suzuki ho maggiormente apprezzato l’approccio coi bambini piccoli e ho dovuto, in un certo modo, reimparare ad insegnare. Questo metodo permette ai bambini dai 4 anni in poi di suonare; è basato sull’imitazione, la memoria e quindi sullo sviluppo attraverso l’ascolto. I bambini non leggono le note ma suonano tutto a memoria (anche se suonano in ensemble). Suzuki è un metodo triangolare: la docente, il bambino e un genitore; è importante sottolineare che Suzuki diceva che questo metodo è una educazione attraverso la musica, quindi non un fine ultimo, quest’aspetto filosofico mi piace molto. Il genitore, (i genitori dei miei allievi non sono musicisti, ci tengo a sottolinearlo) preferibilmente sempre lo stesso, è direttamente coinvolto nella lezione perché diventa insegnante a casa e così si crea una relazione speciale tra genitore e bambino. Il genitore che si approccia al metodo Suzuki è, secondo me, avvantaggiato a condividere i progressi dei figli, perché ne è il fautore, un po’ come nella crescita stessa.

CP: hai un modello di flautista?
IL: Ascolto molti flautisti e sinceramente chiunque pùo essere un modello, ma della vecchia generazione sicuramente traggo esempio da Jean Pierre Rampal che incarna l’eleganza. Ovviamente non posso non citare James Galway: quando da adolescente andavo ad ascoltare i suoi concerti in Sala Verdi a Milano, per me era un evento come per i mei coetanei andare ad ascoltare i Queen o gli U2! Non posso certamente non citare William Bennet, András Adorjan, Maxence Larrieu, Alain Marion.
Ci sono anche tanti bravissimi flautisti della nuova generazione preparatissimi e performers eccellenti.
Non posso negare che ho molta stima dei miei maestri di flauto. Al Conservatorio di Milano, dove ho studiato, il mio docente era Gabriele Gallotta, poi mi sono perfezionata con Bruno Grossi.
Il flautista che prendo a modello è proprio quest’ultimo, lo potrei riconoscere tra centinaia di flautisti. Quando lo ascolti senti che “la musica va avanti”. Lui ha una grande sincerità intellettuale, ha un grande rispetto ed umiltà per la musica. Suona con grande sensibilità e profondità e limpidezza di pensiero, senza compromessi e scevro da qualsiasi abitudine; mi ha insegnato infatti, tra tantissime cose, che bisogna leggere una partitura come se fosse la prima volta; tutte queste attitudini connesse ad una acuta intelligenza, un dominio totale dello strumento, una tecnica eccellente e sonorità che ti avvolgono completamente, ne fanno per me un vero modello.

CP: secondo te c’è una differenza tra un modo di suonare maschile e femminile?
IL: In realtà non penso ci sia differenza nel modo di suonare; personalmente sento la differenza nel modo di respirare ma non riesco a riconoscere se un suono è più maschile o femminile, credo sia più un modo di pensare che puo definirti prevalentemente maschile o femminile, come ci insegnano le filosofie orientali.
Nel quintetto ci distinguiamo come quintetto di donne nel modo di lavorare, il modo di vedere le cose e non perché abbiamo un timbro femminile, almeno non credo. C’è un grande equilibrio tra noi 5. Io caratterialmente sono più maschile, è una parte ben presente in me.

CP: hai una preferenza per la musica orchestrale oppure per la musica da camera?
IL: Mi sento molto a mio agio suonando in orchestra; è il mio mondo preferito e mi diverto tanto. Immersa nel suono orchestrale delle grande sinfonie mi sento alzata dalla sedia.
Quindi risponderei che ho una preferenza per l’orchestra. Nonostante questo anche la musica da camera mi piace. Sono due mondi differenti per così dire. Per certi versi trovo sia più difficile suonare in orchestra per l’equilibrio tra i colleghi sia al livello personale che musicale, e molto spesso la prontezza deve arrivare al momento giusto (penso al solo della 9a sinfonia di Beethoven, dove l’ottavino resta in pausa per quasi un’ora e quando comincia lo fa con un solo, lo stesso nella 4a di Tchaikovsky). E’ uno stop and go, un dentro e fuori. Invece nella musica da camera sei dentro la musica per tutto il tempo del concerto e il filo logico e musicale è costante.

CP: temi il giudizio del pubblico?
IL: No, non temo il giudizio del pubblico perché mi basta il mio giudizio. Sono molto esigente e severa con me stessa.

CP: come è il rapporto con i social media e le nuove tecnologie?
IL: Si, uso il social media, ma non con costanza. Sono incerta di postare dei messagi inutili e stupidi e quindi filtro già cosa postare. Anche qui mi autopunisco. Per il social media è importante soprattutto apparire. Li uso ma con parsimonia. Invece per gli sviluppi nuovi come NFT’s, web 3, smart contracts, non ho tempo per seguirli. Se avessi bisogno (e sta in funzione di qualche cosa) potrei anche seguirli e studiarli; altrimento non ci riesco.

CP: come portare un pubblico più giovanile nelle sale da concerto ed auditori?
IL: Mi chiedo se nel nord Europa accada la stessa cosa. Ho l’impressione che la preparazione musicale in generale sia diversa al nord rispetto al sud dell’Europa. Sono più abituati ad andare ai concerti già da molto giovani. Penso all’Inghilterra e Germania in particolare ma anche molto ai paesi scandinavi.
Preparerei dei progetti sin da quando si è piccoli per sollecitare la curiosità. Farei le lezioni concerto e più concerti per le famiglie. Cioè la musica è una cosa naturale e la proporrei così; è come lavarsi i denti, lo fai tutti i giorni. Cerco di stimolare i miei alunni ad andare ai concerti e dò consigli.
Organizzarei più concerti dove i mondi possano incontrarsi; magari all’aperto, così più accessibili e facili a tutti. Far partecipare in modo attivo. Fare qualche cosa che unisca e diverta.
Le bande per esempio fanno tantissimo. Io insegno flauto e solfeggio nelle scuole di alcune bande in Svizzera: Ad un costo accessibile a famiglie talvolta numerose, offrono lezioni ed un livello ormai consolidato e uniforme in tutta le regione: ogni scuola organizza gli esami, tutti con gli stessi criteri. La banda ha un grande valore di socializzazione e mi piace pensare sia una sorta di esperimento sociale, in quanto ragazzi molto giovani si trovano a condividere la stessa passione con musicisti che potrebbero avere l’età dei loro genitori o nonni. Nel mondo musicale amatoriale c’è poca contaminazione di altri generi e stili, quindi non si è sempre molto aperti a progetti condivisi.
Ma ci sono anche molte realtà poliedriche, per esempio dove insegno vengono offerti un repertorio molto vasto e diversificato: musica per banda, ma anche rock e classica e progetti con e per i bambini. Cosìcché si ha la possibilità di conoscere, ampliare il bagaglio culturale e sicuramente aumentare la curiosità.

CP: hai un sogno nel cassetto?
IL: Ho tanti ideali ma non ho un sogno nel cassetto. Sono molto realista.
Desiderei tornare 30 anni indietro e sicuramente studiare di più! Ah si, mi piacerebbe vincere ancora un concorso.

©Cécile Prakken, 2023